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Mercoledì, 06 Giugno 2012 19:50

Aborto: fallimento collettivo

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Aborto. Dal latino abortus, participio passato del verbo aborior, morire. Molto simile in assonanza ad "aborro". È una parola difficile di per sé, solo a pronunciarla. Immaginiamoci viverla.
Le prime a condannarlo, le donne stesse, che mai hanno pietà delle loro simili. Le senti parlare tra di loro della collega che ha avuto un aborto spontaneo: "Neanche capace di rimanere incinta". Un'altra si avvale del diritto di partorire e destinare il bambino all'adozione: "Ringrazia che non l'ha buttato nella spazzatura".
Eppure i medici dicono che abortisce una donna su cinque. Quindi, quando le donne parlano in quel modo, hanno ottime probabilità di ferire chi sta loro vicino. Certo, non lo sanno. Ma nessuno si aspetta che si confidi un segreto così terribile a delle persone tanto intransigenti.
In fondo io credo sia proprio quello il motivo dell'aborto: l'isolamento sociale. Il mito della donna gretta e calcolatrice che butta via bambini a cuor leggero non mi ha mai convinto. E tutte le donne che lo hanno vissuto, dopo anni piangono ancora a dirotto a parlarne.
Una delle principali motivazioni alla base della scelta di abortire è il compagno che taglia la corda. Ironia della sorte, spesso è stato lui a volere e a cercare quel bambino. Perché nel frattempo aveva un'altra storia, in cui credeva di più, in cui si stava innamorando, e voleva stringere le maglie della rete per costringersi a rimanere. Poi, una volta vistosi intrappolato, ha capito che lì non poteva rimanerci per forza - e si è eclissato.
C'è chi sostiene che il trauma dell'aborto sulla psiche femminile sia il giusto scotto per un'azione tanto ripugnante. E come paga l'uomo che l'ha messa incinta? Non paga mai. Alcune donne, invece, non sono più riuscite ad avere un compagno, a fidarsi ancora di un uomo. Pagano per tutta la vita.
Ovviamente, la fuga del compagno non è l'unica motivazione: ci sono ragioni economiche, difficoltà a sopravvivere, a mantenersi, a trovare un lavoro. Troppe volte durante il colloquio di selezione si chiede a una donna se ha famiglia o intenzione di avere figli. E in base a quella risposta, le si assegna o meno un posto di lavoro. I datori di lavori a volte sembrano più interessati al calcolo delle probabilità di una gravidanza che al tuo curriculum.
D'accordo: ci sono i sindacati - sempre meno. Ci sono le leggi- ma con quelle non ci mangi. Ho visto diverse donne essere lasciate a casa perché erano rimaste incinta. In teoria non si può licenziare una donna incinta. In teoria. Però succede.
Io credo che ogni aborto sia un fallimento collettivo. Da parte di una società che ha fatto sentire a una donna che non aveva altra via d'uscita se non la più drastica: quella di non provarci nemmeno, di non prendere nemmeno in considerazione altre soluzioni. A nulla servono le leggi, se non si riesce a offrire pietà umana, comprensione, supporto fattivo.
Una donna su cinque. Teniamolo a mente.

Nazarena Fazzari

Sex & Turin

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