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Darwin e tornato

Darwin e tornato (2)

http://3.bp.blogspot.com/-QBoI2pv-g9A/UC942UVZitI/AAAAAAAAB1A/KS1bAKmQ5qI/s1600/pastorin.jpgHo sempre amato Torino, anche quando in giro dicevano che era grigia, dominata dalla Fabbrica, cena alle 18 e a letto presto. Era bella anche a quell'epoca, tra quelle menzogne farcite d'invidia: “Torino ha la sua salvezza nell'essere una città operaia”, mi diceva Giovanni Arpino, mio maestro di letteratura e di vita. Mi piace ancora prendere il tram numero 10, come quand'ero ragazzo e da casa mia, in via San Marino, andavo al liceo, il V° Scientifico, oggi Alessandro Volta, in via Juvarra. Ascolto i discorsi della gente, vedo tanti migranti (per la mia soddisfazione), leggo i miei giornali e i miei libri. Le vie, le piazze, i monumenti, le piante scivolano lente.

 

Venerdì, 04 Maggio 2012 20:36

La mia rinascita dal Brasile all'Italia

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Ricordo la meraviglia e la malinconia. Il mondo che, letteralmente, cambiava. Non fu facile all'inizio. Giugno 1961: da San Paolo a Santos, venti giorni di oceano, quindi Genova e la destinazione finale: Torino. I miei genitori avevano deciso di tornare nella loro Italia e di lasciare il pur amato Brasile. Non più Verona, la loro città, ma la capitale sabauda nei cento anni dell'Unità, nel pieno di quell'illusione passata alla storia come Boom Economico. La casa al primo piano di via Madama Cristina, la scuola elementare in corso Dante, proprio all'angolo, la "Silvio Pellico". Avevo una lingua tutta mia, che metteva insieme il portoghese parlato con i miei coetanei al quartiere Cambuci, l'italiano di papà e mamma e il veronese dei nonni. Una confusione totale! In prima elementare ero "lo straniero", quello che "veniva da lontano". Il mio compagno di banco, Marco, oggi bravissimo architetto, mi raccontava di Torino: del Valentino, del luna park in corso Vittorio, delle montagne. Io non avevo mai visto le montagne! Invece io gli dicevo delle onde adulte, dei grattacieli, di una squadra di calcio chiamata Palmeiras, ma che un tempo era la "Palestra Italia" fondata nel 1914 dai nostri lavoratori, dei tanti bimbi di varie nazioni e religioni. E che avevo nostalgia, che in brasiliano si chiamava "saudade". La maestra Esterina Unia, con molta pazienza, mi insegnò il mio nuovo alfabeto. Già allora mi piaceva scrivere storie, inventare situazioni: insomma, mi era entrato il giornalismo nel sangue. La tv era in bianco e nero. Mi appassionavano calcio, sceneggiati e i varietà dove i cantanti si sfidano tra di loro, tipo "Canzonissima" o "Il Festival di Sanremo". Tifavo per la Juventus e raccoglievo le figurine "Panini". Mi facevano compagnia Tom Sawyer e Huck Finn, Rin Tin Tin e i fratelli Bonanza, Tex Willer e Paperino, Nembo Kid e Capitan Miki, tutti gli eroi salgariani. Andavo matto per un dolce alla marmellata di castagna che si comprava, per poche lire, in latteria. Poco alla volta cercavo di allontanare San Paolo, rua Nossa Senhora de Lourdes, il carnevale e la grande festa infinita di quando la nazionale verdeoro, con Garrincha, Didì, Vavà, Pelé e Zagallo all'attacco, conquistò nel 1958 la Coppa Rimet. Mio papà non aveva più la Lambretta, ma una Ford Taunus. E mio fratello Lamberto, oggi medico pediatra, diventò un campione della televisione a "TeleTris", il programma condotto da Silvio Noto. Ricevette come premio tantissimi libri.

Il 1961, ovvero quando sono nato per la seconda volta. Anche perché rischiai di morire! La mia vicenda finì su "La Stampa", "Stampa Sera" e "La Gazzetta del Popolo", con tanto di foto in ospedale, io da solo o con mia madre e con il parere di illustri luminari della medicina. Cosa accadde? Per andare a scuola, dovevo avere delle scarpine blu. Io non volevo abbandonare le mie, che erano però bianche e blu. Mamma, per non sentirmi più piangere, le portò dal calzolaio. Diventarono completamente blu. Per "festeggiarle" andai a giocare al Valentino; quando tornai a casa mi sentivo stanco, stranito. Papà mi vide sdraiato sul divano, gli occhi socchiusi, il respiro faticoso. Chiamò spaventato mia madre: "Corri: Darwin è diventato viola". Nostro vicino di casa era, per fortuna, il dottor Barbero, il mio medico. Non ebbe dubbi: "Ambulanza e subito al Regina Margherita, non c'è tempo da perdere". Avvelenamento da tintura per scarpe. Possibilità di salvezza: poche. Poi, per fortuna, eccomi qui a raccontare l'episodio. Con un sorriso. Anche di sollievo, se permettete.