Ma io da Torino me ne vado! Stampa
Scritto da Valerio Pierantozzi   
Giovedì 13 Ottobre 2011 08:42

TORINO 13 ott (Però Torino) - Nuova emigrazione: sei storie di torinesi che hanno trovato la propria strada oltrefrontiera

Turin AirportSono sempre di più i torinesi - giovani e meno giovani - che guardano oltrefrontiera per il loro futuro di vita e di lavoro. Una nuova emigrazione, quindi. Forse dovuta alla crisi neanche troppo strisciante che ci ha colpito. Di certo causata dalla voglia di esperienze nuove, dalle infinite possibilità che il globo terracqueo offre e dalla facilità che i nuovi mezzi di comunicazione garantiscono in termini di informazione. In questo articolo raccontiamo cinque storie di torinesi che stanno all’estero e che, fuori dai confini daziari torinesi, hanno trovato opportunità insperate. Paradigmatica la storia di Raffaella, che dopo essersi specializzata a Milano in design e grafica, a Torino aveva trovato uno stage (ben poco) retribuito. A Hong Kong, dove è andata a disegnare i colori per le unghie, ha un super stipendio e la sua italianità è un valore aggiunto.

RAFFAELLA, DESIGNER A HONG KONG

Torino mi manca per numerosi motivi personali, ma non tornerei mai indietro nella mia scelta”. Non ha dubbi sul suo futuro Raffaella Bichiri, 23 anni da compiere fra pochi giorni e un lavoro a Hong Kong. “Vivere qui apre la mente. In Italia vedo la decadenza e qui vedo la nascita. Forse esagero, ma questo è quello che percepisco. Le persone qua hanno davvero voglia di lavorare e costruire qualcosa, parlo sia degli occidentali che dei locali”.

raffaella bichiri 4Raffaella ha studiato al liceo artistico a Torino, ma si è laureata a Milano in Fashion and textile design alla Naba (Nuova accademia di belle arti). “Sono una fashion designer quindi mi occupo per lo più di stile e progettazione”. Dopo la Naba è tornata a Torino, dove ha iniziato a lavorare per una stilista indipendente come assistente/stagista per una linea di abbigliamento femminile. “Essendo anche la sua una realtà piuttosto di nicchia, io dovevo fare un po' di tutto: dal disegno alle commissioni, a comunicazione e promozione”. Lo stipendio? “Rimborso spese 300 euro al mese”.

Finisce lo stage e arriva anche l’offerta di lavoro. “Se non me ne fossi andata mi avrebbe assunta. Non mi ha detto la cifra, ma mi ha parlato di un part time. Non ho accettato, ma forse avrei dovuto ritenermi fortunata solo per il fatto che mi avrebbe assunta”.

Ora è a Hong Kong da un paio di mesi. “Sono la designer-grafica di un'azienda che produce stickers di smalto per le unghie. Lavoro come freelance e quindi vengo pagata a ore: prendo 50 dollari statunitensi l'ora, circa 35 euro”. Un bello stipendio insomma. Anche se poi il costo della vita è molto alto. “Gli affitti sono esorbitanti. Io per esempio pago 1900 euro per un appartamento di 45 metri quadrati. I locali che frequentano gli occidentali sono proporzionati agli stipendi, quindi più cari che in Italia. Per fare un esempio, la colazione al bar costa circa 5 euro. In un week end puoi arrivare a spendere anche sui 200 euro tra divertimenti, discoteche, spiaggia. C'è chi dice sia più economico prenotare un week end low cost in Thailandia o nelle Filippine”.

D’altro canto, però, i lati positivi superano di gran lunga gli svantaggi. “In una parola, a Hong Kong la vita si può definire facile. Hai tutti i tipi di servizi comodi e a portata di mano, taxi e metro sono economici tanto che la macchina non serve. Nessuno ruba niente e se sei una donna puoi girare da sola, vestita da discoteca in piena notte senza correre alcun rischio. Gli stipendi sono alti ed è pieno di giovani come me che lavorano qui e non sono sottopagati”. Anzi, c’è un dato fondamentale che invoglierà molti ragazzi di Torino a scoprire la vita di Hong Kong: “Se sei occidentale passi automaticamente nel gradino alto della società”. Parola di Raffaella.

“MEGLIO L’ITALIA CHE IL COSTA RICA”

David Paluci EcclesiaQuella di David Paluci Ecclesia è la classica storia dell’italiano che emigra all’estero per far fortuna. “Sono andato in Costa Rica nel 1995”, dice David. “Avevo 24 anni, vivevo ad Avigliana ed ero un operaio in una piccola ditta di Collegno. I miei studi si sono fermati alla terza media per esigenze economiche familiari. Per questo si può dire che il mio futuro fosse scritto: lavorare 35 anni come operaio e sopravvivere fino all'arrivo della pensione, con la speranza di prenderla”.

La scelta del paese non è casuale. Il padre di David infatti viveva già nello stato centramericano, dove gestiva una farmacia. Ha iniziato a lavorare con lui, ma dopo un po’ di anni si è sposato con una ragazza costaricana, e ha cambiato lavoro. “In questo paese l'unico impiego con uno stipendio decente per una persona senza titoli di studio come me è il venditore. Trovo quindi lavoro tramite un amico Italiano che importa vini e alimenti dall'Italia, e inizio così la mia carriera da agente di vendita”.

Sono tutte rose e fiori? Niente affatto. Perché la situazione è notevolmente peggiorata col passare del tempo. “La globalizzazione ha colpito duro anche qui. Il costo della vita è quadruplicato e dopo 16 anni mi è praticamente impossibile sopravvivere con il mio stipendio. Inoltre è arrivata anche la criminalità organizzata: la ‘Mara’ salvadoregna, i Narcos colombiani e i Cartelli Messicani. Quello che avevo conosciuto come un paese pacifico è diventato un paese violentissimo e caro”. Il risultato? Un paese da cui è meglio fuggire. “Ogni giorno il telegiornale è un bollettino di guerra. Uccidono per rubarti anche solo un paio di scarpe. Per comprare un arma bastano 20 euro e i proiettili sono venduti tranquillamente nelle vetrine di qualsiasi ferramenta”.

David adesso sta cercando di tornare in Italia. “Il costo della vita qui in proporzione è molto più elevato che in Italia, dove, pur con tutti i problemi che abbiamo, si vive meglio. Infatti sto contattando tutti i miei amici chiedendo loro di tenermi informato su qualsiasi tipo di posto di lavoro. Anzi – conclude David – approfitto per dirlo anche a voi: se sapete di qualcuno che ha bisogno di un imbianchino-muratore-saldatore-idraulico-falegname-garzone, fatemi sapere!”

MASSIMO, AMERICANO PER AMORE

Massimo Balestra è un ingegnere elettronico di 47 anni. Anche lui è di Torino, ma da tre anni vive a Reno, città di circa 300mila abitanti del Nevada, negli Stati Uniti.

Si dice che ingegneri e medici in Italia siano quelli che hanno meno problemi a trovare un lavoro. “Infatti non ero disoccupato”, racconta. “Io lavoro sui computer, in particolare sul web. Il mio era un lavoro più o meno manageriale e mi occupavo di clienti anche di grosso calibro come Vodafone. Qui in America invece ho una mansione più tecnica, di gestione di server e programmazione web”.

Massimo BalestraA cosa è dovuta allora la fuga dall’Italia? “Nel 2005 mi sono sposato con una ragazza statunitense. Abbiamo iniziato a vivere a Torino e ci siamo stati per tre anni. Ma poi a lei non piaceva e nel 2008 ci siamo trasferiti qui a Reno”. Massimo negli Usa prende un buon stipendio, circa quattromila dollari al mese netti (quasi tremila euro). Ma il tutto va valutato in base ai prezzi americani. “Il costo della vita qui è molto diverso”, dice. “Gli affitti sono più alti e il cibo decente costa di più. Con cibo ‘decente’ intendo le materie prime: verdure, carne, pasta. Si risparmia molto se si prendono cose già preparate, tipo i surgelati. Però la qualità di quello che c’è dentro ve la lascio solo immaginare”.

In Italia lo stipendio era più basso. “Ma non è per niente facile fare paragoni. Prima di andarmene il mio stipendio era intorno ai 2200 euro al mese. Ma con un lavoro più tecnico come quello che faccio adesso prenderei decisamente di meno, pur vivendo con molto meno stress. Poi bisogna comunque considerare che qui non ho nessuna assicurazione pensionistica”.

La vita americana ha alcuni aspetti positivi e altri negativi, come in tutte le cose. “Il lavoro è molto migliore e meno stressante, esclusi rari periodi come quello corrente. Ho una bella casa e i vicini sono simpatici. Certo, mi mancano alcune cose, come l’attività culturale che c’è a Torino e che qui è molto minore. Anche perché Reno e’ una città più piccola e io, essendo qui da relativamente poco tempo, so muovermi di meno. E poi, chiaramente, mi mancano gli amici”.

Ritornerai, allora, in Italia? “Certamente sì, se penso al lungo termine, cioè a quando andrò in pensione. E certamente no, se penso sul corto termine, cioè per i prossimi due o tre anni. Quello che sta nel mezzo è ancora tutto da vedere”.

TRA ROULETTE E CHEMIN DE FER

viviana-menegazzoViviana Menegazzo fa un mestiere molto particolare: è una croupier del casinò di Cannes. Trentaquattrenne torinese, già dal 2005 è partita per lavorare sulle navi da crociera, dove ha imparato il mestiere della roulette. Ha capito subito che desiderava rimanere fuori dai patri confini: “Più possibilità, maggiori guadagni, un mondo che sembra andare avanti più veloce”, dice. Così, ha cominciato a cercare lavoro in Francia: “Non ci crederete, dopo tre mesi avevo il mio contratto a tempo indeterminato! Ero al settimo cielo, sembrava il paese della cuccagna”.

La Francia, dice, “è molto avanti rispetto all’Italia, per moltissimi aspetti: economici, burocratici, sociali. I disabili, gli anziani, le fasce deboli ricevono moltissimi aiuti, sia dal punto di vista finanziario, sia organizzativo. Perché se n’è andata? Semplice: “In Italia non riuscivo a mantenermi. Nonostante una laurea, cercare lavoro era come chiedere l’elemosina. Non arrivavo a fine mese e non avevo voglia di stare a casa dei miei fino alla pensione, solo perché l’economia era un disastro e la classe politica fa mille errori”. Ha una filosofia molto chiara: “Se qui non siamo soddisfatti – chiarisce Viviana – dobbiamo cercare la felicità altrove”.

Ora, dicevamo, è una croupier e non lavora nemmeno tanto lontano dalla sua città, Torino. “Tra una cosa e l’altra porto a casa intorno ai 3mila euro netti – spiega – a far lo stesso lavoro in Italia, magari si guadagna pure di più, ma riuscire a entrare in uno dei nostri quattro casinò è praticamente una missione impossibile. In Francia siamo tantissimi”.

Non pensa di tornare in Italia: “Nonostante mi manchino moltissimo il mio Paese, la mia famiglia e la mia cultura, avverto che l’Italia sta andando alla rediva e credo che, almeno per la mia generazione, non s’annuncino tempi rosei”. E poi, rientrare a casa per le feste comandate non è poi così arduo.

IL POLIZIOTTO TORINESE DI SAN FRANCISCO

Gianfry CampaI CHiPs, T.J. Hooker, Miami Vice, Starsky & Hutch: gli anni ’80 ci hanno regalato una miriade di serie tv americane sulla polizia. Chissà quanti ragazzi di allora hanno sognato di fare la stessa carriera, di andare in giro per New York o Los Angeles ad acciuffare i cattivi. Beh, qualcuno ce l’ha fatta: Gianfranco Campa è sergente di Polizia a San Francisco.

Gianfranco ha 45 anni ed è nato e cresciuto a Torino. Che però ha abbandonato ben presto. “Nel 1990 – racconta – sono partito dall’Italia alla volta degli Stati Uniti. Perché? Sinceramente, per puro spirito d’avventura. Tutto qui”. In America Gianfranco ha conseguito una laurea in Homeland Security nella American Military University. Da qui a diventare poliziotto, evidentemente, il passo non deve essere stato troppo lungo.

Lavoro nell’area di San Francisco”, dice Gianfranco. “Guadagno circa 96mila dollari lordi all’anno. Non so quanto guadagnerei nel mio Paese perché non conosco lo stipendio di un sottoufficiale delle forze dell’ordine in Italia”.

Il poliziotto torinese in trasferta non si lamenta affatto della sua posizione. “Negli Usa mi trovo bene, anche se mi manca l’Italia. Vivo a Pleasenton, un paese a circa 40 chilometri da San Francisco, nella parte est della baia”. La vita va così bene che Gianfranco non pensa all’Italia. “Forse tornerò quando sarò in pensione, ma non per il momento. Mi sono comprato una piccola casa in Puglia a 500 metri dal mare. Magari andrò a vivere lì”.

A BERLINO (QUASI) PER CASO

“A Berlino mi trovo benissimo. Anche se una volta mi son trovato a chiedere una ‘masturbazione’ in farmacia”. Fabrizio Monfrecola è andato via giovanissimo da Torino e senza nemmeno ben sapere perché. La sua è una storia particolare, che col tempo si arricchita di tanti aneddoti.

“Sono partito per la capitale tedesca che avevo 22 anni, compiuti da una decina di giorni. Era l´11 Febbraio del 2006, volo Easyjet delle 20,50 da Malpensa. Tanto per cambiare, partito con un´ora di ritardo”. Adesso, a 27 anni, lavora come international advertising manager per il gruppo eBay. Ma il motivo della partenza non è stato lavorativo. “A distanza di quasi 6 anni da quando son partito – racconta Fabrizio – non ho ancora capito perché sono andato via da Torino. Ho capito invece quali non sono stati motivi che mi hanno fatto scegliere di andarmene: non è colpa del lavoro, che tra università e altre beghe, già avevo; non sono stati problemi in famiglia; non sono gli amici e non avevo nemmeno problemi giudiziari, non mi hanno mai beccato a farmi le canne!”. E allora? “Forse sono partito perché avevo bisogno di vedere da lontano tutto ciò che era la mia vita e goderne come da spettatore al cinema. O forse sono partito solo perché Schengen ci ha fatto un gran bel favore”.

Fabrizio MonfrecolaA Berlino Fabrizio si trova molto bene ed economicamente non si può lamentare, anche se ultimamente è aumentato il costo della vita. “A Berlino era basso quando sono arrivato, mentre oggi invece si avvicina a quello di Torino. Di sicuro comunque rimane molto inferiore a quello milanese”.

In Germania le bizzarrie non sono poche. “Beh, innanzitutto vederli ordinare il cappuccino con la pizza. Lo chiedono anche in Italia quando fanno i turisti”, racconta Fabrizio. “Ma la cosa più divertente mi è successa in farmacia. Avevo bisogno del Vicks, il famoso farmaco contro il raffreddore. Ma ho scoperto che in Germania si chiama Wick e che Vicks significa masturbazione. Insomma: la prima volta che ho avuto un raffreddore a Berlino sono andato a chiedere una masturbazione a un farmacista. Non é stato un momento felice”.

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