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Scritto da Gianluca Palladino   
venerdì 18 dicembre 2009
Nel giro di due mesi, circa 200 ricercatori piemontesi, la maggior parte dei quali operanti a Torino, rimarranno senza stipendio. Qualcuno riuscirà a trovare un’altra collocazione. Per qualcun altro il principal investigator di riferimento (tradotto, il capo del laboratorio in cui lavora) si ingegnerà per reperire fondi diversi con cui pagarlo. Per i meno fortunati si aprirà il baratro della disoccupazione. Questo, a grandi linee, lo scenario che si sta profilando dopo che la Regione ha preannunciato, nell’ambito dei tavoli tecnico-politici tenutisi alcune settimane fa, il mancato rifinanziamento degli assegni di ricerca attivati in collaborazione con gli Atenei a partire dalla primavera del 2008.
E dire che non più tardi di 2 anni e mezzo fa i proclami di Palazzo Lascaris erano stati altisonanti. Così l’assessore all’Università e alla Ricerca Andrea Bairati sulle pagine dei principali giornali cittadini: “Sono lieto di presentare quella che ritengo la prima misura in grado di aumentare visibilmente il numero di ricercatori in una rete universitaria piemontese che ha buone strutture ma il problema di consolidare le opportunità attraverso il capitale umano”. E ancora: “Per il futuro intendiamo proseguire queste iniziative che fanno del Piemonte una terra di frontiera nel campo dell’innovazione”. Dichiarazioni rilasciate all’indomani dell’Accordo per il potenziamento della ricerca e dell’innovazione siglato tra la Regione e l’Università di Torino, l’Università del Piemonte Orientale, il Politecnico e l’Università di Scienze Gastronomiche. Ma cosa prevedeva l’intesa?
I TERMINI DELL’ACCORDO
L’atto, dopo aver più volte sottolineato l’importanza strategica in chiave locale e internazionale del comparto della ricerca e l’insufficienza delle risorse umane per garantire al settore un adeguato salto di qualità, stabiliva quattro linee d’azione: contenimento del cosiddetto brain drain (cioè la fuga dei cervelli all’estero), rientro dall’estero dei ricercatori italiani, attrazione di ricercatori stranieri e processi di visiting professor (arrivo negli atenei piemontesi di docenti stranieri). Per raggiungere tali obiettivi, l’accordo istituiva alcune centinaia di assegni di ricerca biennali (eventualmente rinnovabili per ulteriori due anni) cofinanziati per il 50% dalla Regione e per l’altra metà dagli Atenei coinvolti nell’iniziativa.
LA RIPARTIZIONE DEI FONDI
In particolare, per l’azione A (quella finalizzata al contenimento del brain drain), il documento prevedeva lo stanziamento da parte della Regione di 3.685.000 euro per il primo anno, corrispondenti alla metà dei 7.370.000 euro necessari per attivare 335 assegni da 22 mila euro annui ciascuno (destinati ad altrettanti dottori di ricerca di età inferiore ai 33 anni e laureati con specializzazione medico-clinica fino a 35 anni di età) così ripartiti: 160 all’Università di Torino, 130 al Politecnico e 45 all’Università del Piemonte Orientale. Di tali assegni, andati a bando tra fine 2007 e inizio 2008, soltanto il Politecnico non ha fruito pienamente, attivandone 69 di cui 59 ancora in essere. Sia l’Università di Torino, sia quella del Piemonte Orientale li hanno invece attribuiti tutti, ripartendoli tra le varie aree di ricerca in base alle valutazioni del Senato Accademico.
IL RINNOVO DEI FINANZIAMENTI
Ora, alla vigilia della scadenza dei 24 mesi di ricerca cofinanziati (tra febbraio e marzo del 2010), la Regione ha profilato al gruppo di lavoro costituito con gli Atenei che per i rinnovi degli assegni in corso non stanzierà nuove risorse, ma utilizzerà le economie di spesa realizzate sui precedenti finanziamenti.  A quanto ammontano tali risparmi? Con precisione non è dato sapersi, ma una stima di massima non è difficile. Il Politecnico ha attivato 61 assegni biennali in meno di quelli che gli spettavano, e ulteriori 10 sono stati risolti strada facendo. L’Università del Piemonte Orientale li ha assegnati tutti, rescindendone 9 in corso d’opera. E quanto all’Università di Torino, avrebbe fatto registrare un’economia di spesa pari a 138 mila euro (ovviamente uguale a quella della Regione). Tirando le somme, nelle casse di Palazzo Cisterna sarebbero rimasti circa 900 mila euro, corrispondenti al potenziale rifinanzimento di 81 assegni su 335.
LE PROSPETTIVE
Come saranno distribuiti tali fondi tra gli Atenei coinvolti, sarà stabilito soltanto a gennaio. Ma il problema complessivo rimane, e pende sulla testa di 270 giovani ricercatori piemontesi.
Commenta il professor Adalberto Merighi, presidente della Commissione Ricerca Scientifica dell’Università di Torino: “Premesso che non è stata ancora presa alcuna decisione definitiva, la situazione desta certamente più di qualche preoccupazione, anche se è bene specificare che nell’accordo del 2007 si sottolineava espressamente che il rinnovo per altri due anni degli assegni era soltanto un’eventualità, e che in ogni caso sarebbe stato subordinato alle disponibilità di bilancio”. Vero. Nello stesso documento, tuttavia, si specificava anche che la Regione si sarebbe “impegnata a mettere a disposizione degli Atenei la propria quota di cofinanziamento per almeno 4 anni” (e cioè i due dei 335 assegni disposti nel 2007, e i due degli altri 121 assegni attivati in base all’atto integrativo del 2008, in scadenza ad inizio 2011). E che, posta tale base, l’impegno futuro della Regione sarebbe stato proporzionato non a questioni economiche, bensì “alla valutazione dei risultati ottenuti sulla base delle risultanze emerse dai rendiconti annuali e dalle verifiche sull’effettivo effetto di incremento  ottenuto dalle azioni finanziate”.
Invece, la linea prospettata oggi da Palazzo Lascaris sembra andare in direzione opposta, e soprattutto contraddire gli intenti di valorizzazione del settore e dei suoi più giovani e brillanti operatori, proclamati appena due anni fa. In merito, sarebbe stato di certo interessante conoscere il parere dell’assessore Bairati, “inseguito” invano per una settimana. Ovviamente siamo disponibili a cogliere qualunque sua futura precisazione sulla vicenda. Intanto, però, a parlare sono le cifre. 
Spiega ancora il professor Merighi: “Dei 160 assegnisti dell’Università di Torino, una sessantina non avrebbero comunque più diritto al rinnovo, in base alla normativa nazionale che ha fissato un tetto di 8 anni alla fruizione di assegni di ricerca. Dei restanti 100 è invece probabile che una significativa percentuale superi il vaglio annuale sul lavoro svolto e abbia i titoli per ottenere il rifinanziamento. Ogni valutazione sarà però effettuata soltanto dopo che si conoscerà l’entità dei fondi a disposizione”.
Che se dovesse rivelarsi in linea con quella prevista, comporterà inevitabilmente la brusca interruzione sia dei programmi di ricerca sia del sostentamento economico per i loro esecutori. “Abbiamo già discusso il tema in sede di Commissione Ricerca Scientifica – conclude Merighi –, ipotizzando anche l’attivazione di un piano d’emergenza che comunque non si può definire prima di conoscere i dati finanziari definitivi e le scelte della Regione. Chiaramente, se i fondi istituzionali si dovessero rivelare insufficienti, l’Università dovrà fare tutto il possibile per garantire un futuro a questi ricercatori, cercando di reperire risorse aggiuntive. Il che, però, non è facile, dovendo fare i conti pure con i tagli statali. È come trovarsi strangolati tra l’incudine e il martello”. Ma il fiato, prima che agli Atenei, sta per mancare a più di 200 giovani piemontesi.  
 
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