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Golia Ikea e Davide Saitta: la ragione prevale sull'arroganza

Offerte di lavoro, con IKEA tante opportunità

Chi l'ha detto che Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino, abbia avuto torto nel pretendere che persino una multinazionale rispettasse la legge? Chi può affermare in tutta coscienza che sia sbagliata la posizione di un pubblico amministratore che tratta il tabaccaio o il macellaio esattamente come la potentissima Ikea? Sembrerebbe assurdo, in un Paese nel quale si ritiene giusto far saltare delle elezioni per vizi formali nella raccolta di firme, per esempio. Gli stessi giornali, posseduti da grandi imprese, che invocano cristalline procedure politiche, sono poi pronti a passare con un autoblindato sui piani regolatori, se fa loro comodo. A cominciare dal quotidiano di Confindustria.

Be', in questo caso non si può che dare ragione al povero Saitta, massacrato a destra e a manca perché - si dice - il suo ostinarsi a far rispettare le leggi, avrebbe fatto "perdere 250 posti di lavoro a Torino e 70 milioni d'investimento". L'Ikea, infatti, con una metaforica scrollata di spalle, ha già dichiarato che se non potrà costruire sui terreni agricoli di La Loggia, allora "investirà altrove nell'Europa del Sud". Tipo a Nizza, ma anche a Ventimiglia.

Ricordiamo: anche prima che la pur simpatica scritta svedese campeggiasse in riva al Po, i torinesi hanno sempre arredato le proprie case, i mobilifici hanno dato da lavorare a commessi, trasportatori, montatori e impiegati e, in definitiva, s'è sempre campato. Ora l'Ikea c'è, sta a Collegno e chi dalle parti di Torino intende acquistare uno dei suoi prodotti può tranquillamente farlo.

L'apertura di un simile colosso, naturalmente, ha dato da lavorare a tanta gente e ha fatto perdere il lavoro a tanta altra gente, che magari era occupata in mobilifici costretti a ridimensionarsi o a chiudere, vista la concorrenza serrata di un tale gigante. Niente di male, per carità: è il mercato. Tra qualche anno ci saranno esattamente gli stessi negozi, le stesse insegne e gli stessi centri di potere da Oslo a Caltanissetta, da Bordeaux a Tiblisi. E' la legge del più forte, il più debole perde. In fondo, anche il servizio al cliente talvolta ci guadagna. Ma che simili colossi si mettano anche a fare la morale, prendendosela con un amministratore pubblico la cui unica colpa è quella di non voler far passare un terreno agricolo a zona commerciale, pare un po' troppo.

Hanno i soldi? Acquistino terreni industriali dismessi, li bonifichino e ci facciano sopra l'imprescindibile secondo punto vendita del torinese. Comprino terreni - e li paghino come tali - che nei piani regolatori sono già assegnati al commercio e alla grande distribuzione. Non pretendano di acquistare per quattro soldi una zona agricola e poi, visto che sono belli e bravi, esigere che con un colpo di bacchetta magica si trasformino come fa loro comodo.

Il signor Rossi, se vuole aprire un mobilificio, deve affittarsi caro e salato un immobile. O deve comprare un terreno edificabile, pagarlo per quel che è e poi edificare ciò che gli serve. O no? Il signor Rossi non ha la possibilità di smuovere giornali e opinione pubblica imprecando perché le leggi faranno perdere posti di lavoro e investimenti. Poi, per carità: che si eliminino i paradigmatici lacci e i lacciuoli che frenano l'economia. Che lo si faccia per tutti, per il signor Rossi come per le multinazionali o le grandi industrie nostrane. Ma se si evita di far scempio dei piani regolatori, con tutte le zone abbandonate e le aree industriali dismesse che ci ritroviamo, forse non guasta.

 

 

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