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65 anni fa la morte del Grande Torino. Ma il mito resiste

SupergaGazzettaSportTORINO 4 mag (Però Torino) - L'omaggio che qualche giorno fa i tifosi del Benfica, l'ultima squadra ad aver affrontato il Grande Torino prima della tragedia, hanno reso alla memoria dei leggendari granata, con il pellegrinaggio alla Basilica di Superga e la deposizione sulla lapide di undici rose rosse, non poteva arrivare in un momento più indicato.

Oggi, 4 maggio, ricorre infatti il 65esimo anniversario del disastro aereo che si portò via quella che da molti analisti è ritenuta la più grande squadra italiana di calcio di ogni tempo.GrandeToro
Si è trattato, in un certo senso, della restituzione di una cortesia. FilaIl Torino di Valentino Mazzola, Gabetto, Loik, Ossola e compagnia si era infatti recato a Lisbona per disputare un'amichevole in onore di Francisco Ferreira, capitano del Benfica e amico di Valentino. Ironia della sorte il match si chiuse 4-3, come quello che, oltre vent'anni più tardi, venne definito "el partito del siglo"; ma se il risultato di Città del Messico era destinato a diventare parte integrante della mitologia sportiva italiana, quello di Lisbona diventò l'anonimo prodromo della tragedia sportiva per antonomasia. La nebbia che avvolgeva la collina di Superga attirò nel suo inganno mortale l'aereo sul quale viaggiava una squadra favolosa, capace di vincere cinque scudetti consecutivi e di costituire molto più che l'ossatura della nazionale azzurra. Nell'impatto morirono tutte e 31 le persone a bordo: l'intera squadra granata, il tecnico Erbstein, i dirigenti, gli accompagnatori, l'equipaggio e tre giornalisti come Casalbore, fondatore di Tuttosport, Tosatti padre e Cavallero. La tragedia di Superga provocò l'estinzione del Torino come grande club europeo, quale certamente sarebbe diventato, dal momento che l'introduzione delle Coppe europee era ormai alle porte, e causò danni incalcolabili all'intero movimento italiano: da bicampioni del mondo in carica quali eravamo, fummo costretti ad attendere 20 anni per rivedere una nazionale competitiva.

Mario Bocchio

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